Cerimonia del tè

cha no yu 茶の湯

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  1. Kayla-XY
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    STORIA

    La cerimonia del tè è un rito antichissimo, tutt’oggi praticato in Giappone, dietro al quale si nasconde una vera e propria filosofia di vita. Secondo la tradizione orientale, infatti, tè e Buddhismo Zen sono strettamente legati. Una leggenda narra che Bodhidharma - che portò lo Zen dall'India alla Cina - rimase seduto nove anni in meditazione in una grotta nei pressi di Shaolin. Per non addormentarsi si tagliò le palpebre e nel punto in cui le gettò crebbe una piante di tè. Al di là della crudezza dell'immagine, tale leggenda ci ricorda quanto il tè aiuti a mantenersi vigili, condizione essenziale nella meditazione Zen. E' per questo che ancora oggi nei monasteri e nei centri Zen di tutto il mondo servire e consumare il tè in silenzio e piena consapevolezza fa parte della pratica.

    La ricetta originaria, primitiva e assai complessa, prevedeva una lista di ingredienti e una modalità di preparazione del tutto particolari.

    Secondo un’antica ricetta cinese le foglie di tè venivano cotte a vapore, pestate in un mortaio e poi di esse si faceva un panetto che veniva bollito con riso, zenzero, sale, buccia di arancia, spezie, latte e qualche volta si aggiungevano le cipolle.
    Il sale fu il primo ingrediente ad essere eliminato per sempre e la ricetta subì nel corso dei secoli modifiche e semplificazioni, ma è probabile che il Giappone abbia conosciuto il tè secondo una ricetta simile a questa.


    Il tè giunse in Giappone per la prima volta intorno al X secolo ma fu il XIII secolo a testimoniarne la diffusione a seguito dello sviluppo della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo mutuata dalla Cina. La tradizione attribuisce al monaco buddhista Eisai (1141-1215) il merito di aver introdotto il tè in Giappone. Si narra che Eisai avesse trascorso un certo periodo in Cina studiando lo Zen e che al suo ritorno in Giappone avesse portato con sé i semi di quella pianta magica e che avesse iniziato a coltivarla nel giardino del monastero. Al pari dei suoi antenati cinesi egli era convinto delle svariate proprietà officinali della pianta. Fu solo in un momento successivo però che il tè si diffuse come forma di intrattenimento, sia per gli ospiti del monastero che per gli stessi monaci. E in qualità di intrattenimento dunque il tè si trasformò presto in teismo, ovvero culto del tè, il Chanoyu (letteralmente "acqua per il tè"), e avvicinandosi sempre più all’arte cominciò a dissociarsi dall’ambiente esclusivamente monastico.


    RITUALE


    Maestro indiscusso della cerimonia del tè fu però Sen no Rikyū, nato nel 1522 nella prefettura di Ōsaka, che la elevò alla sua espressione più alta e ne fece una vera e propria forma d’arte. Il tè che si usa nella cerimonia non è il comune tè in foglie che si immerge in acqua calda. Si tratta di un tè dal caratteristico colore verde brillante, finemente polverizzato e disciolto in acqua calda con un frullino di bambù. Ne risulta una bevanda densa, leggermente spumosa, da un caratteristico sapore amarognolo assai diverso da quello del tè comune. Uno scrittore cinese lo ha infatti poeticamente definito "spuma di giada liquida".
    La cerimonia del tè si divide in tre momenti distinti:
    - Kaiseki un pasto leggero consumato prima del tè;
    - Koicha il tè denso;
    - Usucha il tè leggero.
    La cerimonia nella sua interezza richiede molte ore per cui, riservando la cerimonia completa alle occasioni speciali, generalmente ci si limita al solo momento dell'Usucha. Un elaborato codice di etichetta regola tutte le fasi della cerimonia a partire dal numero di giorni di anticipo con cui si estende un invito (generalmente non più di cinque), al rituale lavaggio delle mani prima di accedere alla sala del tè, al posto da occupare durante la cerimonia, sia per gli ospiti che per il padrone di casa, alla designazione dell'ospite d'onore, al modo di servire e di bere il tè. La rigida osservanza delle regole formali altro non è che un modo per assicurare che nulla di imprevisto turbi la decorosa serenità e armonia di spirito associata alla cerimonia stessa.

    L'Usucha e il Koicha rappresentano visivamente due momenti distinti della cerimonia e il rituale ad essi associato è infatti diverso. Il Koicha prevede l'uso di un'unica tazza da cui ogni ospite beve solo pochi sorsi. Il protocollo prevede che prima di portare la tazza alle labbra la si ammiri; dopo aver assaggiato il tè ci si complimenti per il sapore e poi si bevano ancora un paio di sorsi prima di passare la tazza all'ospite vicino avendo accuratamente asciugato con un tovagliolo la parte da cui sia ha bevuto. Finito il giro è possibile che l'ospite più importante chieda di ammirare nuovamente la tazza per apprezzarne la qualità.
    Nel caso dell'Usucha il protocollo è leggermente diverso. Ogni ospite infatti beve tutta la tazza di tè, poi con le dita asciuga il bordo e si asciuga le mani con un tovagliolo, e restituisce la tazza al padrone di casa che la lava con acqua calda e dopo averla asciugata la riempie di nuovo per servire un altro ospite. La tazza viene data all'ospite presentando la parte più bella. L'ospite a sua volta avrà cura di girarla in modo da non bere dalla parte migliore. Il tè, divenuto cerimonia, si accompagnò a nuove consapevolezze in campo artistico-architettonico e non mancò di influenzare, con il suo amore per la semplicità e la sobrietà, la vita di tutti i giorni. Devono essere utilizzati contenitori specifici: per l’usucha, il tipo più leggero, si utilizza la natsume (棗), scatola di legno laccata nera, mentre il koicha viene conservato nel chaire, contenitore di ceramica e porcellana adatto a conservare gli aromi.

    Il rituale della cerimonia del tè si svolge nella cha shitsu, (茶室), la cosiddetta stanza del tè, che può trovarsi all’interno di un'abitazione o essere in una zona separata dalla casa o anche in un padiglione apposito (la suki ya 数奇屋), spesso situato in perfetto equilibrio e armonia all’interno dei giardini.

    La stanza come luogo di cerimonia venne creata dai maestri Zen per la prima volta intorno al XV secolo. La cerimonia del tè rappresentava in effetti un momento di meditazione e la semplicità della stanza era più che appropriata all'intento: rustici ambienti fatti solo di legno e paglia, esempi di purezza e raffinatezza tanto da divenire punti di riferimento ed ispirazione nella storia dell’architettura. L’essenzialità, l’assenza di mobili, di qualsiasi altro oggetto o ornamento, è rappresentazione del vuoto a cui la meditazione Zen aspira. La stanza del tè è infatti luogo fisico ma anche mentale, rappresenta gli ideali dell’estetica Zen: l’assenza di contenuto lascia spazio al pensiero, alla contemplazione del vuoto, quel vuoto materiale che è anche mentale. Il forte contenuto spirituale della cerimonia come momento di meditazione giustifica l’isolamento della stanza da tè dall’abitazione, come senso di allentamento dalle ansie e dalla materialità della vita quotidiana.


    Importante elemento della stanza è il tokonoma (床の間), una piccola nicchia ricavata nella parete, dove vengono appesi rotoli di carta scritti da calligrafi e una piccola composizione di ikebana, il chabana (茶花), spesso costituita da un solo fiore posto in un vaso. Il posto a sedere vicino al tokonoma è il più importante e quindi riservato al capofamiglia o, all’occasione, all’ospite. La disposizione dei pochi ornamenti nel tokonoma è generalmente studiata con cura affinché sia in sintonia con le persone e allo stesso tempo con l’ambiente e la stagione.

    Altro aspetto degno di attenzione è l’abbigliamento, solitamente caratterizzato da colori sobri; ai piedi i tradizionali tabi (足袋), il ventaglio e i kaishi (懐紙), fazzoletti di carta bianca portati ripiegati nel risvolto del vestito.

    La cerimonia si svolge nell’assoluto silenzio dei partecipanti, padrone e ospiti, che dopo essersi purificati con l’acqua hanno accesso alla stanza e possono prendere posto sui tatami (畳, la stuoia di bambù intrecciato, di circa un metro per due), accanto al padrone in ordine di importanza.
    Normalmente la cerimonia si svolge servendo dapprima un pasto leggero (kaiseki 懐石), un breve intervallo e poi il momento vero e proprio in cui viene servito il tè, prima in forma densa, poi più leggera.

    Tra gli strumenti utilizzati per compiere la cerimonia vi è ovviamente la teiera, il testsubin (鉄瓶), un bollitore di ferro dalla sofisticata lavorazione e nato probabilmente nella regione di Nanbu, i cui centri erano ricchi di botteghe rinomate nella lavorazione del ferro.

    Storicamente ritenuti meno fini ed eleganti delle porcellane, questi bricchi venivano utilizzati solo nelle occasioni all’aperto o nei riti più brevi che precedevano la cerimonia vera e propria a cui invece era riservato il chagama (茶釜), pentola senza manico e beccuccio in cui si faceva bollire il tè. Questi strumenti dalla veste semplice e severa sono stati poi scoperti dagli occidentali che rimasero incantati proprio per la loro rusticità ed essenzialità, l’efficienza e la perfezione che li caratterizza.



    Mentre il tè nero viene sottoposto a fermentazione e quello cinese scaldato sul fuoco, il tè verde giapponese viene trattato al vapore così da acquistare un aroma delicato, un profumo leggermente amaro e un colore verde chiaro. Le tipologie di tè giapponese sono ovviamente molte: vi è il sencha (煎茶), tè comune per uso quotidiano, il gyokuro (玉露) per grandi occasioni. Di gusto semplice è il bancha (番茶), di qualità inferiore, e il maccha, usato esclusivamente per la cerimonia ed ottenuto mischiando la polvere verde in poca acqua calda e mescolato con un frollino di bambù (chasen 茶筅).
     
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